domenica 23 dicembre 2012

Due spigoli ai lati della testa



Lo so che non ti ho più scritto, ma da quando io e mia mamma andiamo in giro ad imbiancare non ho più così tanto tempo per scrivere. Poco male, comunque, vuol dire che si lavora.

Tipo il lavoro più bello che abbiamo fatto è stato dentro un asilo delle suore dell'ordine del Sacro Cuore di Gesù, quelle vestite di nero. Che poi è lo stesso asilo che ho frequentato da bambino, ma solamente per un anno. Solo per un anno, poi ho finito la scuola materna al comunale. Ci stavo anche bene dalle suore, ma mia madre una volta venne a trovarmi all'asilo durante il primo pomeriggio, dopo il riposino ci facevano fare delle attività creative, le suore, tipo disegnare coi punteruoli d'acciaio.

Non so se hai presente: ci davano una tela incorniciata e un punteruolo d'acciaio, e noi si doveva fare un disegno bucando la tela. Una cosa strana, effettivamente, non ho trovato riscontri raccontandola in giro. Sembra che nessuno di quelli che conosco, durante l'infanzia, abbia mai disegnato con un punteruolo d'acciaio su una tela incorniciata, bucandola. Ma esiste davvero. Quella tecnica è vera quanto il motivo per il quale mia madre mi ha portato via dall'asilo delle suore dell'ordine del Sacro Cuore di Gesù, quelle vestite di nero.
Insomma mia madre arrivò all'asilo, dice che quel giorno pioveva. Era uscita dalla Tipo con l'ombrello sopra la testa che sembrava vivo, tanto era il vento quel giorno, sembrava volesse scrollarsi di dosso l'acqua e migrare verso un posto caldo e asciutto, l'ombrello, tanto pioveva quel giorno. A quel tempo, anni e anni prima del tumore, fumava ancora le MS, mia madre, ne fumava quasi un pacchetto al giorno. Ed era uscita dalla Tipo e con l'ombrello e l'MS in bocca entrò nel cortile dell'asilo. Passò di fianco alla statua del Cristo con le braccia larghe e i palmi rivolti al cielo, come il Cristo Redentore di Rio, o di Maratea, ma più piccolo, parecchio più piccolo, che mia madre che è bassa riusciva a dargli il cinque, o cento lire, per dire. Continuò verso il portone e a metà strada si accorse dell'MS che stava fumando. Non voleva sporcare con un mozzicone il cortile dell'asilo delle suore dell'ordine del Sacro Cuore di Gesù, quelle vestite di nero, così prese la sigaretta la sporse fuori dal perimetro dell'ombrello e la pioggia la spense, quindi si infilò la cicca nella tasca del cappotto nero. Così mi ha sempre raccontato.
Era bella mia madre col cappotto nero. Adesso non se lo mette più, forse l'ha anche buttato. Era bella mia madre d'inverno, quando tornava a casa col cappotto nero con le gocce di pioggia attaccate, che si aggrappavano al feltro, e mi chiamava, e andavo lì, e lei era sulla porta bianca di casa che si sbottonava il cappotto e aveva una gran permanente di capelli neri. Poi mi avvicinavo e lei mi abbracciava, ma non sempre, se aveva fretta non mi abbracciava, se aveva tempo, invece, mi prendeva fra le braccia e mi diceva qualcosa in sardo, e profumava di rossetto. E questo era strano, perché il rossetto lei nemmeno se lo metteva, e neanche adesso se lo mette.
Allora entrò nell'asilo delle suore dell'ordine del Sacro Cuore di Gesù, quelle vestite di nero, salutò la bidella in portineria, forse ci fece quattro chiacchiere, dice, e poi si diresse verso la grande aula dove tutti i bambini disegnavano coi punteruoli d'acciaio sulle tele incorniciate, bucandole. Tutti i bambini tranne il suo, di mia madre, dico, quindi io. Io ero da una parte, per terra, su un tappeto, intento a costruire una pistola con le costruzioni.
Mia madre bussò e entrò sorridendo a suor Eugenia che ricambiò il sorriso e le fece cenno di entrare mentre spiegava a tutti i bambini tranne che al suo, di mia madre, quindi io, come si disegna la sagoma di una quercia. Mia madre mi notò lì per terra con le costruzioni, si avvicinò col cappotto perlato di pioggia, si accovacciò con tutta la sua gran permanente di capelli neri, e mi chiese, perché tu non disegni come gli altri?, perché io non posso, risposi, che vuol dire che non puoi?, domandò, io non posso usare il punteruolo, feci, e allora che fai qui da solo?, mi incalzò, una pistola, dissi infine.


Suor Eugenia era già passata alle ghiande e ai cinghiali che nei boschi le grufolano fra le foglie di rovere, e si dovette fermare perché mia madre l'aveva interrotta alzando una mano, così la suora la raggiunse con tutto il suo vestito nero.
Perché mio figlio non disegna coi punteruoli?, le chiese, perché suo figlio non può, rispose placida, che significa?, mia madre mise gli occhi a fessura e rimase con la bocca socchiusa, se dessi a suo figlio un punteruolo potrebbe far male a qualche bambino, signora. Mia madre dice che suor Eugenia era rimasta calma e aveva anche sorriso di compassione.
Be', mia madre mi prese e mi mise la giacca a vento rossa e la cuffia di lana, rossa anche questa, che mi aveva fatto lei con l'uncinetto, ma non era tanto brava e allora le era venuta quadrata e quando la mettevo mi si formavano due spigoli ai lati della testa. Mi trascinò mentre piangevo perché volevo rimanere a giocare con le costruzioni e la bidella le disse qualcosa tipo, tutto bene?

Sì, tutto bene, le abbaiò mia madre senza guardarla, mentre riprendeva l’ombrello. Si sbatté il portone alle spalle e si abbassò a chiudermi la giacca a vento sul collo e poi si accese una MS. La pioggia le spense la sigaretta, mentre camminavamo verso l’uscita del cortile, allora se la tolse dalle labbra e la schiacciò sulla mano destra del Cristo Redentore.

Suor Eugenia era sulla soglia del portone, bassa e tozza con tutto il suo vestito nero che riluceva alla luce bianca di un primo pomeriggio invernale di pioggia, nei punti in cui era più liso.

Morì di malattia due anni più tardi.

Alessandro, mentre giocavamo a sotterrare i giocattoli sotto la rena della riva ovest del Tevere, mi disse che era stato al funerale e che avevano fatto vedere la salma pure ai bambini. L’aveva vista anche lui: aveva la faccia gonfia, mi disse, qui sotto il mento, soprattutto, e era come coperta di chiazze viola. La cosa che non capiva, Alessandro, era perché l’avessero seppellita col suo vestito nero, mi raccontò, che si vedeva che era consumato sotto la luce rossa delle candele. Ma alla fine solo lui ci aveva fatto caso, continuò a dirmi, al vestito nero consumato, gli altri bambini facevano caso alle chiazze viola, e al collo gonfio, soprattutto.

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