La signora A. è seduta dritta davanti a me, cioè non proprio
frontalmente, leggermente alla mia sinistra. Non ci sopportiamo, o meglio credo
lei non mi sopporti e io non sopporto lei, difatti non ci parliamo.
Ma la signora A. oggi è vicina e che lo voglia o no devo
sentirla parlare.
Voglio fare un excursus.
Avete presente quando avete dormito poco, o siete tesi come
corde sottilissime e cavalcate i pensieri uno sull’altro, pensiero dopo
pensiero dopo pensiero.
Beh nel frattempo la realtà continua e la stiamo perdendo,
non si può staccare il cervello nel bel mezzo di un pranzo con tanto di
parenti.
La signora A. oggi è vicina, ma non mi riserva sorprese.
Mi fissa, ma quando non la guardo, con il suo maledetto fare
di vecchia, mi scruta, mi osserva.
Sento le sue rughe muovere l’aria a sbuffetti per volgere lo
sguardo meschino verso di me.
Lei non lo sa signora, ma il mio occhio sottile mi consente
di vederti con la coda.
“Ai miei tempi i ragazzi si pettinavano sempre con i capelli
all’indietro. Oggi guardali tutti con i capelli in avanti”.
Ma da quale remoto luogo dell’universo proviene questa
creatura con il viso allungato e la pelle di tacchino, grinzosa. Ai lobi
penzolano orecchini che più li guardo e più mi convinco essere scarabei,
catramici insetti seccati nel bitume.
E il suo respiro, dio mio!
Così pesante, sofferto. Rifletto, rifletto.
La signora A. che è seduta vicino a me, che non mastica, ma
deglutisce, che non pensa, ma sputa sputa sputa.
Io ti odio signora A.
Ma ah giusto, oggi è Natale!
Oggi devo accarezzare i gatti, sorridere almeno, alle
battute che non capisco, fare i complimenti per l’Armagnac che sa di
legno e augurare a tutti le migliori felicità.
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