Un bravo cuoco avrebbe messo tutti a tavola. Lo aveva fatto. Un bravo cuoco avrebbe
ignorato la stragrande maggioranza dei complimenti fritti e rifritti. Lo aveva
fatto. Un bravo cuoco non avrebbe chiesto aiuto a nessuno, si sarebbe alzato e
avrebbe gongolato fino all’altra saletta per preparare la seconda portata,
condire il piatto, servirlo bene. Fin qui lo aveva fatto, poteva essere ancora
un bravo cuoco. Forse era divenuto anche un ottimo cuoco e poteva concedersi il
lusso di un lavapiatti come amico. Erano in due nella cucina, lo sciabordare
della sala da pranzo era solo una sinfonia per il cuoco e l’aiutante. Un bravo
cuoco avrebbe avuto un ottimo naso e un vista panoramica acutissima che avrebbe
evitato incidenti disastrosi. Si confermava ancora un bravo cuoco, aveva
riconosciuto quel profumo delicatissimo alle sue spalle provenire da quell’ombra
leggera. Era una dolcezza infinita che, a discapito del bravo cuoco,
intorpidiva i sensi e copriva tutti gli altri odori. Serrava l’appetito e non permetteva nemmeno un
assaggio in più, volavano graziose farfalle nello stomaco e il cuoco, quello
bravo, stava perdendo punti nella classifica degl’ottimi.< Hai fatto tutto
tu? > Chiese quel profumo.< Si !? > Impastò il cuoco.< Assaggia pure, prendi
un pezzettino. > L’amico aiutante era
intervenuto e aveva evitato al maestro d’ impastare ancora. Spinta da una
curiosità invisibile un’ombra si era levata dalla sala, aveva volato insieme
al fruscio che fanno le ombre e aveva posato il suo più lungo riflesso sulla
spalla del bravo cuoco. Con l’altro riflesso aveva assaggiato e costatato e
ringraziato e fissato il cuoco dritto negl’occhi.< Che bravo cuoco! > l’ombra era divenuta lampadina ocra
penzolante e non c’era più. Un master chef avrebbe accantonato un complimento
così banale. Non lo aveva fatto. Era un
cuoco meno bravo. Stava per tagliarsi e
l’amico sottoposto sorrideva. Era un cuoco meno bravo. Ma l’esperienza e il
duro lavoro spesso aiutano i maestri di cucina ad ignorare, a concentrarsi, e
fu così che si rimise in carreggiata. Un bravo cuoco sarebbe stato sommerso dai
brindisi, c’era riuscito. Un bravo cuoco avrebbe fatto agognare a tutti i
commensali un divano comodo, una luce calda, un digestivo. Aveva quasi vinto. Con alle spalle l’accoglienza del focolare il
top del top nell’albo dei cuochi teneva sotto controllo la situazione,
constatava la pelle tirata delle pance, scoppiettava di champagne.
Solo alcune cose
potevano uccidere la persona e insieme la carriera di quello che fino a questo
punto abbiamo chiamato un” bravo cuoco”. Accoccolata a piedi del fuoco, l’ombra
sgranocchiava ancora qualcosa. Forse non era sazia o forse era solo smaniosa?
Frantumava il guscio delle noci con un piccolo martellino e cesellava con
accuratezza infinita i frammenti del frutto, li mangiava. Tutti sulle noci, sul
battere, sul martellino. Il cuoco poteva solo dimostrare l’affinità con la
materia prima, con il frutto, poterlo aprire con la forza della sua sola mano,
mostrarla ad un capo espiatorio, per rimescolare nella mente di tutti la supremazia,
l’essenzialità della sua figura. Magari avvicinarsi con dolcezza, proprio all’ombra,
strapparle un assenso, un grazie, e farle vedere come si fa, con un mano, o
farsi vedere solamente. Aveva stretto e stretto e riprovato. Non c’era riuscito. L’ombra l’aveva distrutto
con i suoi specchi di nocciole, le sue labbra di fragole rosse e i suoi arti
così belli e deboli come violini di cicale. Non gli aveva detto che sarebbe restato pur
sempre bravo e quindi non l’aveva reso banale. Non l’aveva sbeffeggiato e reso
ridicolo, iroso e vendicativo. L’aveva accolto nel suo quadro di luce calda e
irregolare, l’aveva illuminato con mille sorrisi di zucchero. Era riuscita a
mostrargli il fallimento, a renderlo piccolo, a fermargli il tempo, a tenerlo
in vita, ancora per un po’.
Non era un bravo cuoco, non era nulla se non ombra.
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