domenica 13 gennaio 2013

Bonsai


Sono le 15.49, già le 15.50 e butto giù qualcosa.
Guardo fuori dalla finestra e come già una volta sta piovendo. C’è poco da dire in effetti e nemmeno troppa ispirazione, piuttosto una languidezza viscerale che sono certo non dipende da una qualche musa,divinità del genio e dell’inventiva . Ho abbandonato i miei libri qui accanto a me sul tavolone di vetro con le gambe in ferro battuto. Sono nel salone al piano di sopra e cerco di descrivertelo minuziosamente perché non so più se te lo ricordi. C’è un divano color panna in pelle, comodo d’inverno ma troppo appiccicoso d’estate. Ci sono tanti libri in gabbia, quelle di legno alle pareti. Ci sono cappelli militari sopra le gabbie  (scommetto che uno sia anche un tuo regalo) e tanti morti stecchiti appesi che non parlano non si muovono ma troneggiano e come facciano io, me lo chiedo ancora. Vedo i miliardi di colori incastonati nel tappeto attraverso lo scorcio che disegnano le mie cosce impigiamate e i piedi pantofolati. Ed eccomi qua amico mio, sono qui, forse anche un po’ ingobbito ma è l’unico modo per sentirti,vederti o parlarti: c’è sempre bisogno di un maledetto schermo che ci divida. Che sia window, oppure una finestra oppure un cielo spento oppure i tuoi limpidissimi occhi. C’è una sottile linea di confine tra me e te. 
Le 15.59, già le 16.00 e piove ancora.
Ma è primavera qua. Tutto nuovo, nuovi odori, nuovi profumi pioggia nuova e funghi nuovi. Studio in una biblioteca, si qui al villaggio, anch’essa nuova splendida, luminosa struggente. Posso scendere pure in strada a prendermi un caffè in un bar di fronte. Nuovo, luminosissimo dai sorrisi nuovi e speranzosi, con prezzi nuovi con l’iva nuova al 21%. Tutto più nuovo. Eppure sono profumi che ho già sentito e questa pioggia mia ha già bagnato. La biblioteca sarà pure  nuova ma il palazzo reca la targa XV sec. e qualche dubbio me lo fa salire alla mente. Il bar è ristrutturato ma a quel circolo ha già servito mio padre quand’era ragazzo e forse chi lo sa, anche il padre di mia madre.
Sono le 16.06, già le 16.07 ed ha smesso di piovere.
Posso alzarmi e tornare ad affilare quei libri, i pilastri di quella costruzione a cui sto lavorando da un po’ di tempo in riva al fiume. Scorre in piena e lì sull’argine sono affaticato dal selezionare e scegliere e di nuovo affilare i primi pali che pianterò per terra, per erigere quella costruzione dove mia moglie accudirà i piccoli e si fiderà ancora una volta di me. Ho solo un bel contenitore, un vaso con buona terra umida. Ma si seccano i bonsai nella casa che non ho.
Mentre il fiume è in piena e tutto scorre. Sono le 16.10 già 16.11

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